sabato 30 aprile 2016

Steven Wilson live @ Obi Hall

Scusate per la lunga assenza, ma mi sono ovviamente beccata la quarta influenza da settembre.
Mi consola il fatto di non essere l'unica, c'è un sacco di gente malata in giro con questo tempo strano.

Sono finalmente tornata a un concerto di Steven Wilson e quello dell'Obi Hall di Firenze è stato decisamente uno dei suoi più belli che ho visto.
La prima parte del concerto è stata, come a Roma l'anno scorso, tutta per Hand.Cannot.Erase, l'album uscito l'anno scorso a inizio anno e che è secondo me il suo lavoro più bello, anche se ho un amore smodato anche per The Raven that refused to sing (penultimo album).
Il 23 gennaio 2016 era uscito 4 and a half, un meraviglioso EP contenente alcuni brani che per qualche ragione, pur essendo qualitativamente ottimi, non sono rientrati nel flusso narrativo né di The Raven that refused to sing né di Hand.Cannot.Erase. Sono lieta del fatto che non ci abbia privato di ascoltarli.
Hand.Cannot.Erase si dispiegava in tutta la sua profondità e bellezza, con il brano Routine a brillare su tutti gli altri come un diamante, incastonato tra le pieghe di una serata che non aveva difetti.

La seconda parte del concerto si è articolata con i seguenti brani:

Dark matter  (Signify)
Harmony Korine (Insurgentes) 
My book of regrets (4 and a half)
Index (Grace for drowning)
Lazarus (Deadwing)
Don't hate me (Stupid dream, ma versione 4 and a half senza Ninet Tayeb)
Brano strumentale di 4 and a half di cui adesso non ricordo il titolo, non ho avuto tempo di riascoltare il vinile! XD
Sleep together (Fear of a Blank Planet)
Sign o' times (cover di Price, Cover version V)
Sound of Muzak (In Absentia)

The Raven that refused to sing (omonimo album)

La lineup era diversa rispetto al concerto di Roma: mancavano infatti Guthrie Govan, sostituito da Dave Kilminster, e Marco Minnemann, sostituito da Craig Blundell. Non vado matta per Dave Kilminster, ma devo comunque ammettere che il confronto con Guthrie Govan sarebbe duro per chiunque. Forse mi piace poco il suo suono, troppo poco sporco e secondo me non troppo versatile per il genere di Steven. Craig ha fatto il suo sporco lavoro, ha una bella energia anche se personalità meno appariscente di Marco.
Ninet non ce l'ho beccata nemmeno stavolta, visto che è in tour (è una bravissima artista solista), e mi è dispiaciuto un sacco perché la trovo straordinaria. Estremamente rock, una voce potente ma dolce, un timbro caldo e fluido, tanta personalità interpretativa. Brava.

Nella seconda parte, come si evince dalla lista, ha ripercorso un po' la storia della sua carriera. Quando hanno aperto con Dark Matter mi è venuto un colpo. Era una vita che non la sentivo live, dal concerto di Pistoia del Porcupine Tree del 2010 se non erro. E' un pezzo magnifico, tratto da un album altrettando magnifico, uno dei miei preferiti dei Porcupine Tree. Non riesco a dire altro. Ascoltatevelo per capire, e comprenderete perché lo amo in maniera così viscerale.
Harmony Korine a seguire, brano di apertura di Insurgentes, potente, il video di Lasse Hoile alle loro spalle a rinforzare l'atmosfera. 
My book of regrets è un brano complesso e ben costruito, che mi piace sempre di più e posso dire che attualmente sia il mio preferito di 4 and a half. 
Index... beh, cosa dire di Index. Dalla prima volta che l'ho sentita live allo Shepherd's Bush Empire a Londra al tour di Grace for Drowning ne sono rimasta folgorata. E' probabilmente il mio brano preferito di quell'album, assieme forse a Deform to form a star e a Like dust I have cleared from my eye - entrambi di una dolcezza infinita - perché ogni volta mi vengono i brividi e ogni volta lo arrangia in maniera diversa. Stavolta, come l'anno scorso a Roma, lo ha quasi tutto parlato invece che cantato e mi piace davvero molto fatto così.
Prima di Lazarus Steven ha fatto un bellissimo discorso du David Bowie, su come si sia ispirato a lui nel cercare di non ripetersi mai, di essere fedele soltanto alla propria ispirazione e alla propria voglia di evolversi, di non conformarsi alle volontà delle case discografiche. Lazarus non è la cover dell'ormai tristemente famoso brano di Bowie parte del suo ultimo capolavoro Blackstar, bensì la Lazarus contenuta in Deadwing, album dei Porcupine Tree del 2005. C'è un verso, in quel brano, che recita così:

"My David don't you worry, this cruel world is not for you".

Quindi, ci ha detto, gli è sembrato quasi destino dover dedicare la sua Lazarus a David Bowie durante questa parte del tour.
Don't hate me è stata riarrangiata con anche la partecipazione di Ninet per 4 and a half, e mi piace molto questa versione, forse più elettronica.
Sleep together arriva addosso come un temporale estivo, in tutta la sua eleganza e irruenza che incredibilmente in questo brano coesistono alla perfezione. 
Dopo di che, è stato il turno di Prince. Steven amava molto la sua musica e ammirava il suo essere un polistrumentista, un cantante straordinario, un ballerino niente male e un'icona di stile. Trovatemelo, un altro così, ha detto. Ha eseguito con la sua band Sign o'times, notevolissimo brano di Prince che ci ha confidato essere da sempre stato il suo preferito, e di cui aveva in realtà già realizzato la cover che aveva poi inserito nel suo album Cover Version V. Estremamente potente e, cavolo, Steven l'ha cantata in un modo tale che eravamo tutti a bocca aperta.
A quel punto ero già sotto il palco, perché ci aveva invitati ad alzarci dalle nostre (alquanto piccole e scomode) seggioline per andare più vicini. Al che ho abbracciato la borsa e mi sono precipitata sotto il palco stile ariete a testa bassa e gomiti alti.


Essendo in quarta fila ho potuto scattare questa foto, di cui vado piuttosto fiera.
Potete immaginare la gioia del pubblico quando hanno eseguito Sound of Muzak. Steven sorrideva per quanto ci sgolavamo.


Il concerto si è concluso con quello che, a suo avviso, è il brano migliore che ha scritto. The Raven that refused to sing è un viaggio dentro una storia di tristezza e redenzione, di solitudine e speranza, di angoscia e amore. E lui lo canta seduto su uno sgabello senza suonare nulla per tutto il pezzo, completamente dedicato ad interpretare la linea vocale, a confidarsi a noi.

Grazie ancora una volta, Peter Pan dell'"ambitious rock", come lo definisci tu, che non invecchi mai ma che parli così bene la lingua che tutti comprendono.








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