mercoledì 20 aprile 2011

Sognare l'impossibile... fino a che....

Si realizza.

Di botto.

Come un lampo che ti acceca.

Quante volte consapevolmente, d'impegno, o soltanto nel mio subconscio semplicemente ascoltando uno dei suoi brani, mi sono ritrovata a pensare "quanto vorrei dirgli cosa la sua musica è per me".

Talmente tante volte che ormai mi sembrava già successo. Come in un universo parallelo.

E stamani, quando mi sono alzata, il giorno dopo l'avverarsi di questo sogno, un sogno mi è sembrato.

Non ci credevo mica.

E forse non ci credo neanche adesso.

Non fosse che il ricordo, per niente offuscato nonostante stanchezza e sonno, dei suoi occhi chiarissimi che mi fissavano e mi studiavano come fossi una mappa geografica, mi stia invadendo la testa.

Ora, mi era ricapitato di fare la conoscenza di personaggi del genere, musicisti e non, ma non ho mai perso il controllo della mente o del corpo. Voglio dire, sono una persona socievole, comunicativa, estrosa, vivace, e a tratti magari pure simpatica. Non mi faccio problemi.

Stavolta però, cazzo, stavolta mi sono trasformata in un blocco di marmo.

Al locale ad aspettarlo, senza sapere se e quando si sarebbe presentato con il suo israeliano compagno di avventure musicali, mi tremavano le gambe.

Quando dietro alla luce fioca dei lampioni ho intravisto quei capelli lisci e gli occhiali non c'ho capito più una mazza.

Ma tipo apnea, tremarella, sudore freddo. Anche se fuori magari non si vedeva (o forse sì???). Michela mi stringeva la mano, per fortuna. Così sapevo che non era un sogno.

Nel momento in cui ho deciso di andare a rompergli le balle stava seduto (direi pure sbracato, seppure l'aggettivo non gli si addica) su un divanetto basso, di quelli quasi raso terra, con in mano un bicchiere con della roba rossiccia/fucsia (non chiedetemi cosa fosse). Io mi sono accucciata davanti a lui appoggiandomi sul divano per non perdere l'equilibrio - visto che le gambe se ne andavano per i fattacci loro.

Ci avrò parlato un minuto, forse meno.

"Where are you from?", mi ha chiesto, perché gli sembrava strano che fossi italiana e avessi il suo accento. Mi ha fatto i complimenti. Fortuna che non ero in piedi.

Non so perché le ragazze amiche della band hanno chiamato proprio noi. Anzi, in realtà lo so ma mi prendereste tutti per pazza se ve lo spiegassi, quindi mi limito a dire che è stato un caso, un colpo di fortuna, anche se chi mi conosce sa che non credo in nessuno dei due.


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